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Prima che il velo del tempo faccia dimenticare...



I testi sono ripresi da "Valli Tesso e Malone" su gentile concessione del C.A.I. di Lanzo Torinese



Descrizione

Detti e proverbi

Un proverbio riferito agli abitanti di Coassolo era: "Cui 'd Quasöl gnanca 'l diau ai völ", ma da parte di qualcuno, il detto comprendeva anche gli abitanti di Corio, per cui diventava: "Cui 'd Cöri e cui 'd Quasöl gnanca 'l diau ai völ".Frutto della lunga esperienza accumulata, i detti e i proverbi si applicavano essenzialmente all'os-servazione del tempo. Per esempio, se durante il tramonto (e solo di giovedì) si presentavano all'orizzonte dei monti le nuvole e che queste coprono il sole prima della sua totale discesa, si diceva: "Se lu sul à vá giü cun lu capél 'n tèsta, à piö primma ca saiu fèsta". Se il sole al tramonto viene coperto dalle nuvole il giovedì sera, si avranno di sicuro pioggie prima di domenica. Di notte invece si poteva dire: "Se la lüna a la ' lu rö, o vant o brö", se durante una notte serena, dove la luna risplendeva sola, essa viene coperta con un'aureola colore arcobaleno, di sicuro uscirà vento forte o pioggia a catinelle.


Le scuole


Un tempo le borgate più importanti, Vietti, Saccona e Leitisetto, avevano la propria scuola. Quella di San Pietro fu costruita dal primo parroco della borgata, Don Michele Casassa, nel 1872 con il concorso di tutta la popolazione. A San Pietro, quasi leggendaria fu la figura della maestra Angela Piovano, che insegnò in quella scuola per ben quarant'anni, dal 1888 al 1928! Ma questa scuola, adiacente alla Parrocchiale, è anche legata alle vicende dell'ultima guerra. Fu infatti al centro di vicende belliche: occupata dai Partigiani e poi bruciata nel luglio del 1944 dai repubblichini, venuti a sapere che nell'edificio vi erano custodite munizioni. Per poter continuare a garantire le lezioni, insegnanti e scolari dovettero trasferirsi nelle stalle o nelle abitazioni private nonchè nella vicina canonica.


ll martedì grasso


 Tutti gli abitanti di Coassolo, dai più giovani ai più anziani, si travestivano per "carnevale" e passeggiavano per il paese danzando e cantando. Si raccoglievano uova fresche e la sera davanti al falò, fatto di grossi rovi e di rami secchi, si preparava un'enorme frittata per tutti.


Il giorno dopo (giorno delle Ceneri) era molto meno allegro: si faceva penitenza; infatti, veniva chiamato "Mercu sgürel", ossia fine della sospirata baldoria collettiva e il mesto ritorno alle dure occupazioni quotidiane.


Le Calandre


Vanno dal 26 dicembre al 6 gennaio. Si afferma che da questi 12 giorni si può rilevare la qualità del tempo dell'anno che viene. Ogni giorno delle Calandre si riferisce ad un mese preciso. Ad esempio il 26 dicembre corrisponde al mese di gennaio, il 27 dicembre al mese di febbraio e così via. Anche le ore sono considerate: allo spuntare del giorno fino alle ore 12 corrispondono al periodo che va dal 1 al 15 del mese; dalle 12 al tramonto all'ultima quindicina.

Coloranti umili


La lana grezza delle pecore veniva tinta con il "Tanturiat" (uva di spagna, o "Phytolacca decantra L"). Si trattava di una pianta stagionale che maturava in estate producendo grappoli di bacche nere, piene di liquido rossastro-fucsia, molto resistente ai lavaggi. La lana così tinta veniva fatta asciugare all'ombra, così il colore durava più a lungo. Per il colore marrone si usava il mallo di noce maturo. Il mallo verde, non ancora maturo, dava tonalità gialle. Era anche un discreto colorante per i capelli, lasciando un velato color rame lucentissimo.



Tradizioni dei Santi


La sera del 1 novembre, era tradizione preparare una cena a base di castagne cotte e minestra di cavolo. Tutti i famigliari cenavano, poi preparavano la medesima cena per i loro "morti" ed andavano a dormire. Verso le ore 20.30, risvegliati dal suono delle campane (a festa) si credeva che i morti uscivano dal cimitero e ritornavano ognuno nella propria casa per cenare tranquilli per tutta la notte. Al mattino presto, tornavano al cimitero entro l'ultimo suono delle campane a festa.

Medicina alternativa di un tempo


Nei paesini sperduti sulle montagne, troppo lontani da medici e farmacie, si sviluppò una medicina alternativa a base di decotti, erbe e medicamenti, con l'assistenza di determinati "guaritori",che tramandavano le loro conoscenze da padre in figlio. Per esempio per curare l'acetone (acetonemia) si prendeva dell'acqua di ruscello, raccolta in una scodella di terracotta. si ripetevano sotto voce misteriose formule o preghiere in latino, poi, con dei fili di canapa o rista di circa 10 cm, si creavano sull'acqua delle croci, una sopra l'altra. Queste croci di filo, quasi per magia, si attorcigliavano su se stesse... La storia non dice se l'ammalato guariva...

Svaghi e tempo libero


 I rari svaghi previsti durante il corso dell'anno erano vissuti con grande entusiasmo. In pieno dopoguerra, a fine giugno, c'era la Festa di San Pietro, che era particolarmente sentita in quanto significava giornata di ferie per tutti. Gli uomini andavano all'osteria ("ostuo "piola"), a discutere... e bere. Le donne invece coglievano l'occasione per sfoggiare l'abito nuovo. Per i bambini era il giorno del gelato, garantito dai nonni.


Ma prima di questo i luoghi di incontro erano le stalle di amici e parenti, dove si trascorrevano le serate a lume di "chinchè" o acetilene (antica lucerna a petrolio bianco). Era lì che avvenivano gli incontri fra i giovani ancora da sposare, lì che le nonne raccontavano storie misteriose ai bambini, storie di "masche" (streghe) simili a gatti fosforescenti, signore della notte. Racconti come questo: un ragazzo salutata la fidanzata, se ne tornava a casa, ma lungo il sentiero, si accorse di essere seguito da un capretto. e così tutte le sere. Incuriosito, il ragazzo decise di catturarlo e così fece. Lo portò nella sua stalla e, la mattina quando andò a vederlo, scoprì che si trattava della sua fidanzata. era comodamente seduta sulla paglia e gli rivelò che, grazie ad un incantesimo, si trasformava in capretto tutte le sere... forse non si fidava del suo lui!


L'estate riservava un appuntamento da non perdere: il bagno nel Tessuolo. verso sera, tutti i giovani scendevano lungo la mulattiera di Mulin Turcin, fino alla goja (grande vasca d'acqua prodotta dal torrente e sormontata da una grande roccia dalla quale scende a cascata) che si trovava a 200 metri dal ponte. Questa goja era chiamata "Saut'd levra": solo i più temerari si tuffavano in queste acque gelide, e quando vi erano solo uomini, il bagno lo facevano nudi.

Il bucato


Le donne anziane del paese ricordano che un tempo si faceva la "l'ssià". Era un momento di convivialità nonchè un momento singolare per lavare il proprio bucato: in una tinozza molto capiente, prima di legno e poi di zinco ("bui") si lasciava a mollo per alcune ore in acqua e sapone un bel mucchio di biancheria sporca. La si copriva con un panno sul quale si stendeva una grande quantità di cenere, raccolta dalla stufa e setacciata. Nel frattempo, le donne facevano bollire molta acqua pulita che versavano nella tinozza, direttamente sulla cenere, che veniva filtrata dalla tela. L'effetto era sorprendente: sgrassava e profumava la biancheria. Il fondo della tinozza era provvisto di una valvola che permetteva di rinnovare più volte l'acqua. Era un lavoro che impegnava quasi tutto il giorno, per cui veniva fatto solo una volta al mese. Secondo altre testimonianze, questo laborioso bucato veniva fatto solo due o tre volte l'anno! Per il bucato di tutti i giorni, le donne si servivano del lavatoio ("goi"), talvolta costruito in società con i vicini di casa.

Il lavoro


 Si trattava di un lavoro prevalentemente agro-silvo-pastorale. Il martedì si vedevano le donne delle frazioni e del capoluogo scendere a Lanzo con gerle e "garbin" per vendere i loro prodotti al mercato. A titolo di curiosità si segnala che nella zona di S. Pietro ed Oviglia si ha un'importante produzione di diverse varietà di mele, fra le quali, le mele "Contessa". Alcuni di questi alberi hanno ormai più di cinquant'anni. Un altro mestiere tradizionale della zona era quello di boscaiolo e, in particolare, a S. Pietro, quello di calzolaio.


In estate, poi, prima della fienagione, molti scendevano in pianura per svolgere occasionali lavori di manovalanza. Tra la fine dell'800 e l'inizio del '900, ebbe inizio lo sfruttamento industriale della cava di amianto del Monte S. Vittore, tra Balangero, Coassolo e Corio.


Tanto era il lavoro e soprattutto i nuovi posti di lavoro, che molti si impiegarono all'Amiantifera per estrarre, insaccare, trasportare, rigorosamente a mano, la preziosa (e pericolosa) fibra.


Nella memoria dei più anziani è ancora vivo il ricordo della nuvola di polvere che avvolgeva il Monte S. Vittore come nebbia e che ricadeva come neve sulle piante fino ad una distanza di 3 chilometri dalla cava. Queste lavorazioni a stretto contatto con l'amianto, come si sa, erano dannosissime per l'apparato respiratorio.


La più grande miniera d'amianto a cielo aperto d'Europa venne chiusa nel 1990. Altra importante fonte di lavoro fu il Cotonificio Valle Susa, che chiuse nel 1974.



Piloni votivi


Situato in una zona di notevole interesse panoramico il "pilun del merlu" permette di ammirare l'arco alpino occidentale che si estende dalle Valli di Lanzo, alla Valle Susa, con la Valle del Po e la maestosa cima del Monviso. Questo pilone venne costruito all'inizio dell'800 dalla famiglia Savant Levet. Il pilone più antico è sicuramente quello della frazione San Pietro, a fianco del ponte Turcin, anche se ormai è ridotto ad un rudere. Presso il bivio Corio - Coassolo si erge un suggestivo pilone con statua della Madonna. venne costruito nel 1959 per volere degli abitanti della frazione nell'anno della consacrazione dell'Italia alla Madonna. All'interno del pilone è stata murata una piccola cassetta contenente le dediche e le firme di tutti gli abitanti di San Pietro.


 


I mulini e i ponti sul Tessuolo


 Il territorio di Coassolo è ricco di acque, dai torrenti impetuosi ai piccoli rii che si ingrossano solo dopo le pioggie, per non dimenticare le "roje", cioè i canali che servono per portare l'acqua necessaria all'irrigazione dei pascoli e dei campi più lontani. L'acqua del Tessuolo era utilizzata un tempo per molteplici scopi: dall'irrigazione all'azionamento delle ruote dei mulini che sorgevano lungo il suo corso. Una particolarità del Tessuolo è che in certi punti scorre un'acqua tiepida, da sempre usata per lavare i panni. Questa zona è detta "Pian dei Mut". Poco più a nord si trova una piccola fonte (Fontanetto), la cui acqua sgorga dal nulla e diventa tiepida d'inverno e fresca d'estate. Si sa che questa fonte era già usata più di 150 anni fa dagli abitanti di Case Casassa, poco distante da S. Pietro.


Lungo tutto il corso del Tessuolo erano sei i mulini funzionanti, facilmente raggiungibili dalle vare borgate.
Uno di questi, detto "d'Turcin" si trova ancora in buono stato di conservazione, sulla riva destra del Tessuolo, a fianco del ponte omonimo. Sono visibili la ruota e i canali di approvvigionamento. Un altro mulino, detto di "Machetta" si trovava tra il Tessuolo ed il Rio di Leitisetto ed è ancora visibile la macina. Il mulino "'d la rana", probabilmente il più vecchio della zona, sorgeva vicino ad un vecchio ponte di legno, di questo mulino rimangono pochi ruderi e due macine seminascoste dalla vegetazione. I mulini erano in funzione tutto l'anno ed erano collegati con le borgate da mulattiere e sentieri. Gli antichi ponti erano cinque: "Pont 'd Letisai", su un affluente del Tessuolo; "Pont 'd Francun", "Pianca 'd la rana", semplice passerella in legno, distrutta oltre trent'anni fa da una piena; "Pont 'd Turcin" e "Pont 'd Casasa". Questi ultimi, insieme al "Pont 'd Francun" sono ponti ad arco in pietra, con muretti di protezione. Il "Pont 'd Turcin" è stato parzialmente ricostruito in cemento dopo una piena che lo aveva gravemente danneggiato nel 1935.


Il Tessuolo è stato citato in numerosi e antichi documenti. Ad esempio nel 1661, il marchese di Lanzo Sigismondo d'Este, nipote e delegato di Carlo Emanuele duca di Savoia, concede ai coassolesi la proprietà esclusiva delle acque del Tesso e Tessuolo. L'utilizzo delle acque era consentito "per uso civico", compreso il diritto di pesca per il sostentamento. Tale concessione fu confermata con decreto prefettizio del 28 giugno 1886 e con successivo decreto del Ministero dell'Economia Nazionale del 22 dicembre 1926. Nel 1960, fu adottato lo statuto di riserva Comunale di pesca Tesso e Tessuolo. Nelle acque coassolesi si pesca principalmente trote e gamberi di fiume.


 


 


 


 


 


 


 


 



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